Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/309


— 299 —

gina! Vuol dire che tu non mi credi! Vuol dire che per te le parole maligne di qualsiasi estraneo hanno più valore delle mie!

— Sì, sì, capisco, è così! — egli proseguì, disperandosi nuovamente. — Ora che il dubbio s’è inoltrato in te, ora... ora non mi credi più! Ma io spero di guarirti, vedi, spero! Comincia col dirmi tutto. Devi dirmelo, devi, capisci! Si tratta anche del tuo onore, del resto, dell’onore di tutti. Dimmi, dimmi...

Ella fece cenno di no, di no, di no.

A che serviva?

— Dimmi tutto! — egli comandò, allora. — Anche la mia pazienza ha un termine.

— Non alzare la voce, Antonio! C’è la guardia, là. Non essere piccolo!

— E finiscila anche tu con le piccolezze! Io sono piccolo, sì, sono piccolo; e appunto perciò voglio sapere... Vedi, mi fai arrabbiare! Dimmi dunque, te lo impongo.

Allora Regina si volse, lo fissò: i suoi occhi grandi e melanconici, sfavillavano al riflesso del tramonto.

Mai Antonio li aveva veduti più belli, più dolci, più profondi: in quel momento fu colto da una specie di fascino, e il suo sguardo non potè più abbandonare quegli occhi luminosi e tristi come il sole al tramonto. Regina diceva:

— E quando ti avrò raccontato tutte le cose che tu desideri sapere, che farai tu? Che ne sai tu, che ne so io se le cose da me udite sieno o no semplici allusioni, sospetti maligni? Che il dubbio, invece, non sia nato da un mio istinto?

— Ma se tu dicevi poco fa che non credevi... Io non ti capisco...