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di là del crepaccio un popolo di fiori grigiastri copriva la china: sotto, il Tevere passava, calmo, imperiale.

Il riflesso del sole al tramonto attraversava un angolo del fiume; pareva un enorme serpente di fuoco guizzante fra l’acqua. Scintille d’oro si accendevano, si spegnevano e si riaccendevano, rapide, ostinate, per un gran tratto del fiume, dando l’illusione di una lotta fantastica fra l’acqua e il riflesso del sole. In lontananza, dove il cielo impallidiva, l’acqua aveva già vinto, e già stendeva la tristezza solenne della sua calma cinerea.

Naturalmente Regina pensò al suo fiume lontano: sedette sulle erbe aspre del ciglione ed aspettò.

Le pareva di essere forte e calma: anche dentro di lei il vano fuoco delle passioni si era spento. Un antico pensiero le ritornava in mente:

— Tutte le ore arrivano: anche questa è giunta ed altre ed altre ne arriveranno... fino all’ora della morte. Perchè tormentarci tanto? La nostra, vita, d’ora in avanti, sarà come un vestito lavato, sì, come questo, — aggiunse, raccogliendosi attorno ai piedi il lembo del vestito bianco smacchiato. — Ebbene? vuol dire che la porteremo più sdegnosamente, ma anche più comodamente, senza tanti riguardi...

— Così! — disse a voce alta rigettando i lembi del vestito sull’erba coperta di sabbia.

Guardò se Antonio veniva. Da qualche momento egli confabulava coi cinque famosi cappellini, vicino ad una barca ferma sulla riva. Accorse il barcaiolo, parlamentò con Antonio,