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volto del giovine pastore biondo pareva poi una rosa peonia appena sbocciata.
Ma ecco la breve cima, e dalla breve cima ecco la visione azzurra delle vere montagne.
Quel giorno il quadro dell’Acqua Acetosa aveva un carattere quasi biblico: uomini dormenti sull’erba, all’ombra dei carretti sui quali i fiaschi scintillavano al sole; donne, fanciulli, molti cani, un asinello nero, così immobile da parer dipinto sullo sfondo verdognolo del Tevere; una fila di pecore terree che scendevano ad abbeverarsi nel fiume; barche oscillanti fra i cespugli delle rive. Un vento lieve spandeva l’odore dei sambuchi fioriti.
Mentre Antonio e Regina scendevano i gradini scavati sul ciglione, arrivò una carrozza carica di cinque signore straniere adorne dei soliti cappellini inverosimili composti da una spiga, un papavero e un batuffolo di velo; l’ultima che scese di carrozza si mise a questionare col vetturino.
— Da per tutto queste orribili straniere! — disse Regina nervosamente; e lasciò che Antonio scendesse solo alla fonte.
Ella andò sulla riva, in alto, al di là del casotto daziario. La guardia passeggiava davanti all’osteria; il punto ove Regina s’inoltrò restava completamente deserto: i rumori vi arrivavano flebili, vinti dal grido delle allodole e da un mormorio d’acqua gorgogliante in fondo ad un crepaccio. Sulla siepe qualche foglia si agitava con un fruscio di seta, e i fiori dei sambuchi, rosei di sole, reclinavano i loro merletti già un po’ sciupati ma ancora odorosi, quasi ascoltando il gorgoglio dell’acqua. Al