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d’idee, che brillavano e s’incrociavano come lampi, si svolse in un attimo nella mente di Regina. Ella fece un movimento per ritrarre la sua dalla mano di Antonio, ma le parve ch’egli potesse da quell’atto indovinare i suoi pensieri e si irrigidì.
Si irrigidì, in apparenza, ma sentì il cuore batterle violentemente. Due, tre, dieci, molti colpi. L’ora era giunta.
Le sembrò che qualcuno, un essere misterioso, tutto nero nella intensa luminosità del tramonto, fosse passato battendole un martello sul cuore. E il cuore s’era svegliato dal maligno sopore del lungo incubo. Bisognava ora sollevarsi, scuotersi, camminare. Camminare, respirare, gridare, fare uno sforzo estremo per liberarsi completamente dall’ombra e dal peso dell’incubo. O altrimenti ricadere sotto questo peso, sotto quest’ombra, e morire.
Da giorni e giorni Regina aspettava quest’ora di lotta, ma la credeva ancora lontana, o meglio l’allontanava da sè come un calice amaro.
Ora, nel sentire ch’era giunta, ne provava un misterioso spavento. E avrebbe voluto ancora allontanarla; ma un impulso strano, quasi un istinto di conservazione, superiore alla sua volontà, la scuoteva e la costringeva a parlare.
Non ricordava nessuna delle parole da giorni e giorni preparate: solo la frase di Antonio, a proposito di Marianna, le diede un filo al quale ella si attaccò disperatamente come ad un filo che la guidasse fuori da un laberinto tenebroso.
Gira e rigira, nei tortuosi anditi del sogno maligno, ella era tornata al punto preciso dove