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— Volevo invitarla a venire con noi, uno di questi giorni, quella infelice. Non la posso vedere, ma ne ho compassione. Tosse sempre, quello straccio.
— Altro che straccio; mi pare tisica, — disse Antonio con voce indifferente: poi si animò. — Bisognerebbe non lasciarle baciar Caterina. Perchè non la puoi vedere?
— Perchè è maligna. Non fa altro che osservare e malignare.
Camminando, così, per una dolce abitudine, Antonio aveva stretto nella sua la mano di Regina.
Davanti a loro si stendeva ora il viale: a destra e a manca, in lontananza, attraverso i platani immobili sul cielo d’un grigio-perla, apparivano sfondi di campagna, vellutati dal verde vivo e puro della primavera. Negli orti esultava una pazza fioritura di rose e di gigli, il cui profumo si fondeva con l’odore dell’erba e delle fragole. Solo qualche vettura passava e spariva nelle lontananze del viale deserto.
— Chi è che mi ha detto la stessa cosa, a proposito di Gabrie? — domandò Antonio, cercando di ricordarsi.
— Marianna, forse? — chiese Regina vivamente, quasi fermandosi.
— Sì... mi pare.
— Un’altra! Una migliore dell’altra, — ella disse con amarezza, — perciò son diventate amiche.
— Oh, con Marianna non è possibile alcun paragone, — osservò Antonio; e subito guardò lontano, distraendosi.
Allora, d’improvviso, un fulmineo processo