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Una sera, però, essi passeggiavano soli, diretti all’Acqua Acetosa. Per arrivare più presto al viale della Regina attraversarono un viottolo, al di là di porta Salaria, e ad un tratto Regina si fermò davanti ad un’osteria.
Per la porta spalancata si vedevano alcuni gradini, al di sopra dei quali un uscio, parimenti aperto, lasciava scorgere l’interno dell’osteria, e una invetriata colorata dal sole al declino. Su questo sfondo luminoso passava e ripassava, leggera e nera, una coppia di ballerini, i quali danzavano al suono monotono di una fisarmonica.
Una ragazza magra e pallida, con due occhi chiari lucenti, seduta vicino all’uscio, col braccio sullo spigolo d’un tavolino, occupava il primo piano del quadretto grazioso. I suoi capelli biondi si confondevano con lo sfondo luminoso. Era così rassomigliante a Gabrie, con la stessa camicetta rosea, che Regina per un momento la credette lei.
— Ma guarda se non è Gabrie, quella!
— Ma sì, — disse Antonio.
Si avvicinarono alla porta, e la fanciulla, credendoli due avventori, si alzò. Era alta almeno un palmo più della studentessa.
La coppia continuò a ballare, nera sullo sfondo arancione dell’invetriata; e Regina e Antonio passarono oltre, parlando di Gabrie.
Fin da quel momento Regina sentì un oscuro turbamento, lontana però dall’idea di cominciare un discorso odioso. Eppure, quasi involontariamente disse: