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fine, cosciente; invece s’accorgeva d’esser debole e vile.

Era simile ad una pianta non coltivata, che avrebbe potuto dar buoni frutti, e invece col suo aggrovigliamento di rami infecondi riusciva soltanto a versare un’ombra pestifera intorno a sè. Ma che colpa ne aveva?

A misura però che ella credeva di conoscersi, cercava di rendersi buona; d’altra parte, anche per istinto, non era donna da continuare in una piccola lotta di dispetti volgari e inconcludenti. Smise per la prima: i piccoli litigi cessarono, e seguì una tregua fatta di incertezze angosciose e di speranze vane.

Ella stessa si rassomigliava ad un malato che deve subire un’operazione d’esito incerto, ed è deciso a subirla e spera che la salute gli ritorni dopo, ma intanto preferisce soffrire ed allontanare ancora il momento fatale.


*


L’esistenza di Antonio e di Regina aveva intanto ripreso la sua corsa eguale, tranquilla in apparenza, tutta composta di abitudini dolci e monotone.

Maggio moriva, ridiventato puro, azzurro, quasi fresco: il cielo, dopo qualche giorno di pioggia, aveva preso tinte autunnali, dolcezze nostalgiche e profonde.

Ed al suo dolore Regina sentiva mescolarsi, come una vena di latte in un mare di veleno, la nostalgia della terra lontana. I ricordi la riassorbivano, le penetravano nel sangue con l’odore delle foglie fresche che profumava le sere glauche di via Balbo.