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— Va via, non ti voglio più vedere. Più nel mio ninnino, più, più! Non ti voglio più bene. Anche tu sei così cattiva?

Caterina si mise a piangere, con lagrime vere; e quella coscienza del dolore, così rara nei bambini, colpì profondamente la giovine madre.

— No, almeno tu non soffrire! È troppo presto! — pensò. E raccolse a sè la piccina, le ravviò i capelli, la baciò sulla testina tremante.

— Vieni qua, taci. Taci, taci. Non farai più la cattiva, no, vero? Taci, la tua mammina ti vuol tanto bene. Buona, su, taci. Ecco papà!...

A questa promessa Caterina si calmò quasi per incanto. Allora Regina sentì in lei la rivelazione di un sentimento nuovo, e si meravigliò di non averlo compreso prima. Le parve, come qualche volta aveva già creduto di intuire, che Caterina amasse più il padre che la madre. Con l’istinto meraviglioso dei bimbi, Caterina sentiva che egli era il più buono, il più debole, il più affettuoso ed i due; che la amava più ciecamente ed appassionatamente di quanto la amava la madre: e lo corrispondeva e lo preferiva per ciò.

Regina non ne sentì gelosia, e non si domandò se era troppo o troppo poco madre per questo; ma quella mattina, attraverso il turbine di cose tristi e brutte che le travolgeva l’anima, ella sentì quel supremo sentimento di pietà, che tra il crollo di tutti i suoi sogni la sosteneva ancora come un’ala potente, stendersi non su lei, non su Antonio, ma sopra la loro bambina. Essi erano già morti alla vera vita, imputriditi dai loro vani errori; ma Caterina era l’avvenire, la vita, il seme, che rinasceva