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zione quasi ironica. Ella s’avvicinò per accarezzarlo, ma l’animale saltò su una mensola vicina e rovesciò un vasetto.
Grosse goccie d’olio, gialle dense, piovvero sull’abito di Regina, macchiandolo irreparabilmente.
Ella per poco non pianse di rabbia: parole insensate le uscirono di bocca.
— Oh, anche il mio abito si macchia, in questa casa!
Antonio accorse ma parve non capire: trovò la bottiglia della benzina e aiutò sua moglie a pulirsi il vestito. Poi rimise tutto a posto, prese Regina per la vita, la costrinse a correre, la spinse su su per la scaletta, facendola inciampare, sordo alle proteste e alle cattive parole di lei.
Così penetrarono nel giardinetto, e Regina si rasserenò.
Il sole calante indorava metà del giardino; l’altra metà restava nell’ombra; il vento passava in alto, sulle cime dei lauri inghirlandati di roselline bianche: di tanto in tanto una pioggia di foglie di rose, di tiglio e di glicinie turbinava nell’aria calda e cadeva sui viali. Regina e Antonio sedettero in un angolo verde, accanto a un’erma sulla quale una testa arcaica, che pareva d’uomo e di donna nello stesso tempo, aveva come un sorriso sarcastico e compiacente.
— Ci crederà due amanti, — disse Regina, rimarcando per la prima volta l’espressione di quel viso scuro. — No, cara mia, siamo invece due nemici.
— E perchè? — disse Antonio, con voce fredda.