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lino, — diceva Regina, scuotendo gli usci del pianerottolo.

Ma tutto era chiuso: allora, ritornarono giù e scesero nella cucina. Dall’alto, della finestra la cui inferriata era a metà coperta da un ciuffo di verzura, penetrava la luce dorata del pomeriggio. Si scorgeva lo sfondo del giardino fiorito, e qualche petalo di rosa era caduto sul pavimento lucido, e sulla tavola di marmo che stava nel centro della cucina.

— Sembra una chiesa! — disse Antonio ridiventato allegro. — Balliamo un po’?

— È più bella del nostro salotto, — aggiunse Regina. — Fa il piacere, sta fermo.

Ma egli la trascinava con sè, strisciando attorno alla tavola.

Un magnifico gatto nero, che dormiva sopra un buffet, sollevò la grossa testa rotonda, aprì gli occhi gialli e guardò senza muoversi i due importuni. Ma Regina trasalì.

— Come siamo sciocchi. — disse. — E se il cameriere torna e ci trova qui? Mi sembra udire dei passi nel giardino: andiamocene.

Ma Antonio, sempre più allegro, si mise il grembiale del cuoco, finse di cucinare e parlò male della padrona come dovevano parlarne male i domestici. Arrivò a dire che madame era una spia del governo russo.

Regina ascoltava e rideva, ma pensava che là dentro forse si conosceva e si comentava il segreto di cui ella non riusciva a squarciare il sucido velo. L’allegria di Antonio la irritava, ed un incidente aumentò il suo cattivo umore. Il gatto continuava a guardarla, e di tanto in tanto sbadigliava forzatamente con un’ostenta-