Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/270


— 260 —


fatto venire? — ella chiese. — Guardiamo se si può fare il thè.

— Sta ferma, — pregò Antonio, non voglio che il servo si accorga che ci siamo stati. Però, aspetta, qui ci deve essere del liquore, del Madera anzi. Oh, bene!

Egli aprì la credenza, trasse fuori una bottiglia ed assaggiò. Bevettero dalla bottiglia, per non sporcare i bicchierini, poi rimisero tutto a posto.

Parevano due bambini. Antonio diventò allegro, e senza però far troppo chiasso cominciò anch’egli a divertirsi. Ritornarono nel salotto e Regina aprì un po’ le imposte: una luce verdognola illuminò un angolo. Regina tinse di dare un ricevimento, imitò la voce della bella signora cieca, poi si abbandonò mollemente sul divano preferito da madame, un divano coperto di pelliccia grigia che dava l’idea d’un enorme gatto addormentato.

Nella penombra verdognola, col suo vestito morbido, coi capelli sulla fronte, con gli occhi alquanto ardenti e cerchiati, ella pareva davvero una gran dama un po’ annoiata, un po’ smarrita dietro un sogno morboso.

Antonio intanto cercava di aprire il balcone chiuso a chiave, dal quale si scendeva in giardino.

— Aspetta un momento, — ella disse. — Andiamo sopra, ora. Ci sei mai stato tu, sopra?

— Io mai.

— Vieni qui; lascia chiuso ancora.

Egli si ostinava a cercare la chiave.

— Vieni, chè ti dico una cosa, — ella disse infantilmente.