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lucente della fronte calva; e quello di Massimo, un elegantone decadente, rassomigliante ad Antonio, ma pallido e coi lunghi capelli rossicci unti, gli occhi grigi dallo sguardo sfrontato. Volgare anche il viso artificiale di Claretta: una bellezza borghese. Non sapeva perchè, ma Regina ricordava in quell’ora la folla intraveduta nelle stazioni di passaggio e in quella di Roma: quei visi che ora la circondavano emergevano nel tumulto delle figure intravedute, ma folla anch’essi e niente altro che folla. Un mondo intero la separava da loro.

Nonostante l’ora tarda e la promessa di Antonio, la cena si protrasse a lungo, servita da una ragazzona bionda, in camicetta rosa, che non cessava di guardar la sposa con occhi meravigliati, e ogni momento inciampava e correva rischio di rompere qualche cosa.

Questa figura che andava e veniva pareva la più importante del quadro: tutti la osservavano, tutti conversavano con lei: la signora Anna trasaliva ogni volta che ella entrava.

Anche Antonio le rivolse la parola.

— Ebbene, come vanno i tuoi amori, Marina? Ti piace dunque? — le chiese poi, accennandole Regina. — Chi è più bella, lei o la signora Arduina?

Marina arrossì, rise, scappò, e non tornava più. Allora Gaspare s’alzò di tavola, gravemente, col tovagliolo sull’omero, e andò a cercarla in cucina. S’udì un improvviso vociare; Gaspare rientrò, rosso, con gli occhi irati.

— Mamma, l’arrosto brucia! — annunziò tragicamente. — Andate... andate un po’ a vedere!