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— Fa già tanto caldo! Una bellissima estate avremo! Oh, come Roma è orribile, d’estate: e loro se ne vanno già. Hanno ragione, poverini, sono così delicati! E noi... Sì, l’osso rosicchiato... quando ce lo lasciano...

— Che cosa borbotti? — domandò Antonio; ma subito parve pensare ad altro: — non è ancora tornata Caterina...

Regina si spogliava, buttando qua e là i vestiti che si toglieva, e continuando ad inveire contro i signori, i ricchi che abbandonavano Roma ai primi caldi. Antonio s’affacciò alla finestra. Ad un tratto Regina ebbe un pensiero maligno, l’ultimo, il supremo dei pensieri perversi, che non la lasciavano più in pace.

— Egli non si irrita più quando io mi stizzisco; pare abbia paura di provocare in me uno scoppio d’ira. Egli indovina che io so; e crede che io tolleri... fino a un certo punto?

— Chiudi la finestra, — disse irritata.

Egli chiuse la finestra, pazientemente.

— Vado a prender l’Avanti; fa apparecchiare, sono le sette e mezzo — disse, uscendo.

Rimasta sola Regina fu assalita da una specie di crisi simile a quella provata due anni prima al ritorno dal Grand Hôtel.

— Ah, — pensava, rivestendo l’abito da casa — appena rientra glielo dirò: è tempo di finirla, o io me ne vado, e questa volta me ne vado davvero. Non voglio che tu vada ad Albano; non voglio che tu ritorni più in quella casa: io non ci tornerò più. Finiscila, Antonio, finiscila, finiscila! Non vedi, non t’accorgi che io mi rodo ferocemente, o te ne accorgi e mi lasci consumare così? Perchè, dimmi almeno per-