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umana, leggesse attraverso la sua fronte. Ma fu un momento. Gabrie non era che una piccola pettegola: ella la disprezzava.
— Stavo per uscire: ecco perchè ti ha detto che non c’ero. Sei guarita? Son venuta da te stamattina.
— Sì, lo so, grazie. Sto meglio. No, non seggo. Vestiti pure. E Caterina?
— È uscita, — disse Regina, accomodandosi i capelli davanti all’armadio a specchio.
— Vestiti pure, — ripetè Gabrie; — mi dispiace d’esser venuta a disturbarti.
Regina cominciò a cambiarsi; non sapeva dove sarebbe andata, ma voleva uscire, anche per liberarsi di Gabrie.
— Vuoi aiuto? — chiese la fanciulla.
— Sì, fa il piacere, allacciami il colletto: oh, questi colletti, che noia! Bisogna aver la cameriera, per questi signori colletti!
— E non l’hai? — disse tranquillamente Gabrie, allacciandole il colletto.
— Quella è una servaccia!
— Pazienza! Aspetta un momentino: come puoi portare questo colletto? Ah, davvero, le donne sono vittime della moda!
Regina sentiva sulla nuca le piccole dita sottili e fredde di Gabrie: il colletto ricamato in oro, alto fino alle orecchie, la soffocava. Improvvisamente si volse, rossa in viso, adirata... contro chi? contro Gabrie o contro il colletto? Non sapeva neppur lei. Se la prese però con Gabrie.
— Le donne sono... E tu non sei donna? Fammi il piacere, non prendere più questo tono; mi sei antipatica.