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Così passarono le ore: una specie di male che, come un dolore fisico, era più o meno forte secondo i momenti, e spesso spariva completamente, ma lasciava il ricordo della sua puntura od il timore del suo ritorno, oppresse tutto il giorno Regina.

Fuori continuava la festa del sole, del cielo azzurro, degli uccelli felici: di tanto in tanto una carrozza pienava con un fragore di torrente il silenzio della via poi tutto taceva ancora; e solo in lontananza il rombo della città risuonava come il mareggiare d’una immensa conchiglia.

Verso le due Caterina si svegliò e si mise a piangere. Regina udì quel pianto senza lagrime e senza perchè, ed entrò. La camera di Caterina era tappezzata di bianco; e su quello sfondo chiaro la figura bronzea e pesante della balia, con la bimba nuda tutta rosea fra le mani, destò in Regina una nuova impressione. Le parve di vedere un quadro, che le significasse qualche cosa. Oramai tutto per lei aveva un significato di rimprovero. Quella figura di madre paesana, nera, rozza e dolce come una madonna primitiva, le ricordava ciò che avrebbe dovuto essere stata lei. Neppure madre, come l’ultima delle paesane, ella aveva saputo essere. Niente. Parassita e niente altro che parassita.

La balia vestiva la bimba, e le parlava un linguaggio speciale.

— Questo pianto, ora, perchè? E pecchè quetto