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Benchè le sembri di esser ritornata calma, a momenti Regina si ferma, quasi colpita da un dolore fisico. Non può più avanzare: qualche cosa la tira indietro.
Ma poi il fascino o l’attrazione della casa la costringe ad affrettare il passo: ella va, va, quasi istintivamente, come i cavalli che sentono il luogo dove li aspetta il riposo ed il fieno.
Nell’angolo tra via Viminale e via Principe Amedeo ella si ferma, al solito, per guardare i cappelli esposti in una vetrina: ha bisogno di un cappello di mezza stagione e là appunto ce n’è uno, di paglia verde-argentea con un tralcio di cardi biancastri teneri, che è tutto un poema primaverile.
Ma un’ombra cupa le passa negli occhi appena ella s’accorge di essersi fermata. Per i cappelli... per le sottane di seta... per tutte queste cose miserabili, splendide e putride come l’involucro d’un serpente... per queste cose... egli.... Ma l’idea s’interrompe. No; non è vero niente! Bisogna prima accertarsi, prima di calunniare così! Cammina, Regina, fa presto. È mezzogiorno; egli deve essere tornato; la tavola è già apparecchiata. E se non fosse vero niente? S’accorgerà egli del turbamento di lei? Potrà ella nascondergli il suo turbamento? E se non è vero? Egli soffrirà: ella lo farà soffrire ancora, inutilmente. Ecco, ella prova per lui una pietà infinita; sia colpevole o no, egli è degno di pietà: ed intanto ella non si avvede che ella ha pietà di lui perchè la colpa risale a lei...