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zione d’una mente osservatrice, nè lo sguardo di due occhi sani e maligni. Qual segno palese era apparso a Gabrie? Dove aveva ella scoperto il segreto? Nel viso impassibile di madame, o nel viso di Antonio? O negli occhi di Marianna? O era una cosa già pubblica? Regina non aveva mai potuto neppur dubitare, e non ricordava il minimo segno rivelatore. Solo qualche parola, qualche frase le ritornava ora nella memoria, e prendeva una forma che ella stessa, nel suo turbamento, giudicava esagerata.

— Tutto è possibile! — le aveva detto un giorno Marianna, col suo cattivo sorriso.

— Anche i ciechi talvolta vedono.

Ed ella era stata più cieca d’un cieco. Ella non aveva veduto, forse perchè non aveva mai dubitato e non s’era mai guardata attorno. Ricordava ora il disgusto quasi fisico che madame Makuline le aveva destato fin dal primo momento della loro conoscenza: rivedeva il salottino disordinato e triste di Arduina, il cielo umido, la sera melanconica: la vecchierella vestita di nero, riparata sotto una porta, col cestellino di limoni di un giallo verdolino. Nell’ombra, densa come una nebbia fuligginosa, il profilo di Antonio spiccava nero e quasi misterioso. Il viso pallido ed immobile della principessa, con le grosse labbra grigiastre, appariva in quello sfondo di ombra come una luna scialba fra le nuvole d’un sogno. Chissà da quanto tempo la vecchia sensuale, il vecchio corpo d’astro morto, attirava nella sua orbita fatale, nella sua atmosfera torbida, l’uccello allegro e amoroso che le volteggiava attorno incoscientemente!