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Aveva paura di rientrare nella casa il cui ricordo le destava una specie di raccapriccio: tutto era lurido là dentro, tutto, tutto, tutto...

Ecco, ella avrebbe voluto spogliarsi; avrebbe voluto strappare dal morbido corpicino della sua bimba, puro come una rosa appena sbocciata, i vestiti della vergogna e della prostituzione; poi prendersela così, nuda sul seno ignudo, e fuggire con lei, fuggire, fuggire...

Fuggire! L’idea antica tornava: ma questa volta Regina avrebbe voluto fuggire in un luogo molto più lontano del suo paese, al di là di un fiume che non si rivarca mai più.


*


Ella rimase più di mezz’ora seduta sulla panchina. La gente passava sempre più frettolosa; i bambini abbandonavano il giardino: anche la balia di Caterina doveva essersene andata. L’erba odorava; nell’aria passava un alito caldo e snervante. Quell’odore d’erba, quel tepore voluttuoso che ondulava nell’aria profumata, acuivano in Regina, come li acuisce una musica flebile, i ricordi e le sensazioni. Nella mente turbata i pensieri passavano a ondate, quasi inafferrabili eppure tutti pungenti. Un solo ricordo insisteva, spariva e tornava, più chiaro degli altri, ardente e triste. Ed era tutto una rivelazione, anzi la sola rivelazione plausibile, perchè gli altri ricordi, per quanto Regina li richiamasse e cercasse di afferrarli e di interrogarli, non le rivelavano ciò che ella desiderava e temeva di conoscere.

Ella si domandava come Gabrie avesse potuto penetrare il segreto: non bastava l’intui-