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nido d’amore, uccellini di passaggio! — disse poi, entrando con Regina in una stanza d’angolo, dove furono raggiunte da Antonio, dalla madre, da Arduina, dalla serva e dalle valigie.

La camera era abbastanza vasta, ma schiacciata da un soffitto basso, grigio, adorno di volgari ghirigori turchini; pesanti panneggi nascondevano tre finestre, una delle quali ai piedi del gran letto massiccio sovraccarico di cuscini e di copripiedi. Quel soffitto grigio, incombente su quella camera volgare, borghese, — che le valigie e le scatole degli sposi finirono d’ingombrare in modo che non ci si poteva più muovere, — accrebbe il senso di soffocamento che opprimeva Regina. Ella guardava, muta e triste; le pareva di sognare un sogno penoso, d’essere in una strana prigione, ove qualche cosa la legava e la opprimeva mortalmente. Oh, tutta quella gente! Tutte quelle donne che l’accerchiavano, la stringevano, la soffocavano con la loro curiosità crudele! La sua sensibilità delicata, in quell’ora tarda, dopo l’urto del viaggio, si risentiva quasi morbosamente al contatto di quella gente ignota. Ella aveva in quel momento bisogno di riposo, pettinarsi, cambiarsi; invece non la lasciarono sola un momento. Claretta non intendeva di abbandonare lo specchio; Arduina, che era una scrittrice, pareva esaminasse le impressioni della nuova venuta; la suocera non cessava di fissarla con occhi lacrimosi.

Regina si tolse la mantellina e il cappello: il suo piccolo viso tutto bocca e tutto occhi apparve spaurito e pallido sotto l’onda nera dei capelli abbondanti intricati.

Antonio non badava più a lei: intento a met-