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infelice; ora... ora mi accorgo che allora mi ingannavo.
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La primavera penetrava persino nel casone ove abitava Gabrie; le scale che Regina aveva già visto umide, viscide, fangose, erano asciutte; i pianerottoli puliti; per una porta spalancata si scorgeva un andito col pavimento lucente. La gente povera, dal primo piano che rappresentava il lusso d’un ufficiale di scrittura, al quarto piano abitato dall’ex-organista decaduto fino a suonatore ambulante, aveva pulito la casa per ricevere la Pasqua tiepida, la nemica del nemico dei poveri: il freddo. Regina provava una strana impressione di piacere nel sentire la sua sottana di taffetà verde frusciare nel silenzio della scala. Ella non pensava alla sua sottana di seta, come in quel momento non ricordava precisamente il benessere della sua vita, le poche scale bene illuminate della sua abitazione, i suoi due salotti, i libretti della Cassa di risparmio, l’abbonamento al Costanzi; ma la certezza del possesso di tutte queste cose le rallegrava il cuore, e la rendeva un po’ sentimentale. Le pareva d’essere una signora; le pareva di salire, tiepida di sole come la Pasqua, col mazzolino di viole in mano, portando il soffio della primavera su quella scala della casa dei poveri, dei lavoratori, degli studiosi, degli sfruttati. Avrebbe voluto lasciare una violetta sulla soglia di ogni appartamento; ricordava di aver veduto un giorno uscire dal n. 8 un giovine studente anemico dalle labbra