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Antonio si svegliò, e ancor prima di aprire gli occhi sentì che Regina lo guardava e le sorrise.

— Dev’esser tardi! — disse, accorgendosi anch’egli del raggio di sole.

— No, è il sole che comincia a visitarci; son le otto meno un quarto. Faccio portar la bambina?

— Aspetta, — egli implorò. — Fammi prima un abbraccino. Non ci vediamo quasi mai.

Egli si avvicinò e l’abbracciò, rannicchiandosi tutto contro di lei come un bambino. Ella lo baciò sulla fronte liscia, sui capelli che emanavano sempre quel profumo speciale di fiori secchi; e sentendolo così tutto suo, dolce e tenero, così giovane, così bello, così confidente, ne provò una tenerezza intensa che rasentava la sofferenza. Rimasero così abbracciati per parecchi minuti, nel silenzio, nella penombra della camera tiepida e azzurrognola.

Fuori la via s’animava, ma i rumori avevano una vibrazione soave, quasi sfumati nella serenità intensa dell’aria.

— Chissà perchè, — disse Antonio, — provo una impressione come se ci trovassimo coricati in un bosco. Ho ancora sonno; dormirei così chissà fino a quando.

— È la primavera, — disse Regina. — Anch’io rivedo il bosco e attraverso il bosco il fiume, e tanti fiori.

— Vai al Pincio, oggi?

— No; vado a trovar Gabrie che è a letto da tre giorni, povera, figliuola.