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questa grande luce che mi illumina l’anima può spegnersi da un momento all’altro...

Si sollevò alquanto e guardò il marito. La bella testa, immobile sul cuscino, illuminata dalla mezza luce dorata della finestra, aveva una purezza rigida di statua. Sulle grandi palpebre chiuse si scorgevano le vene azzurrognole; su tutto il viso era una impronta di dolcezza.

La notte prima egli era rientrato tardi, più tardi del solito; poichè quasi tutte le notti rientrava tardi. Ma Regina non era gelosa. Egli lavorava tutto il giorno, con un’attività quasi febbrile: solo alla sera poteva divagarsi, camminare, vivere per conto suo: e Regina non gli chiedeva conto di quelle ore. D’altronde egli le raccontava sempre dove era stato.

V’erano dei giorni in cui si vedevano appena alla mattina, quando si svegliavano; e qualche volta, anzi, se si svegliava un po’ tardi, Antonio doveva balzare subito dal letto, lavarsi in fretta, prendere il caffè e correre all’ufficio.

Con tutto ciò, o forse per ciò, la vita coniugale scorreva limpida e tranquilla come un ruscello limpido e tranquillo.

Balia, che raccontava sempre di aver vissuto anni prima presso due sposi che si bastonavano anche stando a letto (... e quando volevo far la paciera le prendevo anch’io, mannaggia al paolo!) diceva spesso:

— Ma così non può andare, padrona! Si bisticci un po’, col padrone, altrimenti vedrà che accadrà una disgrazia!

— Crepi l’astrologo!

— Mi lasci prima finire di allevare questa pupetta: guardi quant’è carina!