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stanti dalla principessa. Ad mi tratto questa si volse verso di loro. Teneva fra le piccole mani coperte di brillanti un piattino e un forchettino d’argento; mangiava lentamente, anzi ruminava una fetta di torta; un pezzetto di cioccolatte le era rimasto sopra il labbro superiore e pareva un neo deforme. Mai ella era apparsa più brutta.

— La signorina è di Viadana? — chiese guardando Antonio e accennando Gabrie col forchettino.

— No, è del mio paese, — rispose Regina, guardando con affetto la fanciulla. E le parve che il piccolo viso di Gabrie esprimesse un invincibile disgusto.


*


Passarono i giorni, passarono i mesi.

Una mattina, svegliandosi, Regina vide un filo d’oro attraversare l’angolo della camera, dalle imposte socchiuse alla parete azzurrognola. Era il sole che batteva alla finestra.

Nel silenzio della casa si sentivano tintinnare i vetri, scossi dal roteare d’una vettura nella via.

Regina sentì che la primavera era arrivata, e ne provò una gioia profonda. Il tempo passava, passava; ed ella non se ne accorgeva, tanto credeva di esser felice. Qualche volta aveva paura; la sua felicità le pareva un’illusione: ed anche quella mattina, dopo la gioia provata nel rivedere il sole alla finestra, ella guardò Antonio, che dormiva ancora, e pensò:

— E se egli fosse morto? Io, o lui, o Caterina, possiamo morire da un momento all’altro;