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— Un po’.
— Si vede. Ma, Dio mio, io mi dimentico...
Fece un altro salto, s’avviò; poi si volse e si avvicinò ancora a Regina.
— Oh, volevo dirvi una cosa, signora: venite di là, ve là dirò di là... Come siete elegante, stasera! Fate proprio al mio caso...
— Che c’è?
— Venite di là, — disse Marianna, prendendola per la mano.
— Vieni anche te, Gabrie.
La piccola bionda si mosse per alzarsi; ma subito pensò che forse Marianna voleva dire a Regina qualche cosa in segreto, e pregò di lasciarla lì.
— Ti annoi? — chiese Regina.
— No, davvero! — ella esclamò. — Va.
Regina uscì ma tornò poco dopo e pregò Gabrie di seguirla nella sala da pranzo, ove Marianna serviva il thè. In piedi, attorno al tavolo coperto di vassoi, i signori e le signore bevevano e mangiavano. Marianna, seduta davanti al samovar, versava nelle tazzine giapponesi, fini e trasparenti come fiori, il thè rossastro fumante; Antonio portava le tazze alle signore.
Ne porse una anche a Gabrie, rimasta dietro la principessa che parlava in tedesco col signore reduce dalle Indie: e la fanciulla gli sorrise col suo sorriso ancora infantile.
— Si diverte? — chiese Antonio.
— Sì. Molto. Sebbene non capisca tanto quel che dicono. Anche Regina parla francese: lo parla bene.
Antonio guardò sua moglie, così bianca, de-