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Ella, disse quella ragazza con disprezzo e compassione.
— E di tante altre! — disse Antonio, come fra sè.
Egli precedeva di pochi passi le due amiche, e pareva assorto nei suoi pensieri, tutto rigido ed elegante entro un larghissimo raglan nero.
— Vuol dire per me? — chiese Gabrie, dopo un momento di silenzio. Poi, subito, senza attender risposta, anzi quasi pentita della domanda, aggiunse: — Dio mio, non le pesa quel paltò, signor Antonio? C’è il professore di storia che ne ha uno simile, e le mie compagne dicono che quando egli va fuori, dopo un po’ devo tornare a casa per riposarsi, tanto il paltò gli pesa.
— Oh, oh, — disse Antonio distratto.
Arrivarono davanti al villino Makuline. La sera era tiepida, calma; lo splendore azzurrognolo della luna piena vinceva la luce dei fanali. La via era deserta: Regina ricordò la prima volta che era andata da madame, e sospirò e sorrise, senza saper perchè.
La gran porta lucente si aprì: il domestico non sorrise, tuttavia il suo viso pallido impassibile s’illuminò amabilmente alla vista dei nuovi venuti.
— C’è molta gente? — chiese Antonio, mentre il domestico aiutava Regina a levarsi il mantello.
— Poca, — rispose a voce bassa il giovinotto.
Regina guardava Gabrie; Gabrie, dopo aver dato una rapida occhiata ai lupi dell’ingresso, guardava alla sfuggita il cameriere; il cameriere portò le mantelline delle signore in un