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via, trascinata da un’onda di folla; vide una montagna di vetture enormi allineate sul lastrico lucente, che le parve di mattoni azzurri, e nell’aria umida sentì un odore di bosco.
Infatti credette di scorgere in lontananza un profilo di bosco, una linea di alberi, neri sul cielo vitreo; e i globi violacei delle lampade elettriche sospese fra quegli alberi neri, le diedero l’idea di meravigliose frutta incandescenti. Qualche cosa di magico imperava, a quell’ora della notte, nella vastità della piazza, dove la gente si sperdeva e spariva silenziosamente, come in un deserto umidiccio e luminoso.
— Andiamo a piedi; stiamo qui vicini, — disse Antonio, prendendo il braccio di Regina.
— Vedi, è grande la piazza della stazione?
— Come è grande! — ella rispose, sinceramente meravigliata. — Ma ha piovuto qui, non è vero? Come è bello!
Vicina ad Antonio, verso il quale la spingeva il grosso corpo ansante della suocera, ella si sentiva di nuovo felice. Sì, davvero, Roma era la città sognata, piena di giardini, di fontane, di edifizi immensi, splendida e grande di giorno e di notte.
Regina si sentì lieta come se avesse bevuto un liquore; cominciò a chiacchierare con animazione febbrile, ma non ricordò mai ciò che disse in quella prima ora del suo arrivo. Ricordò però che, nella sua gioia, le dava fastidio l’ansare e il sospirare della suocera, il riso scemo di Arduina, il discorso dei cognati, che venivano tranquillamente dietro e parlavano nientemeno che di topi.
Antonio aveva pregato la sua famiglia di non