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aveva in quei giorni fatto il cambio del suo posto al Ministero con un segretario d’Intendenza, dal quale aveva in compenso ricevuto duemila lire. Aveva, il mio collega, tre bambini e la moglie incinta; la moglie che non usciva di casa da due mesi per mancanza di vestiti. Egli aveva fatto il cambio perchè voleva andar via da Roma, pagare i debiti, provvedere al parto della moglie: quella notte egli teneva in tasca le duemila lire e le perdette tutte. Io guadagnai da principio: arrivai a mille ottocento lire; poi perdetti; rimasi con cinquanta lire; guadagnai e perdetti ancora; sai, succede sempre così; verso le tre del mattino mi trovai con circi duemila lire davanti. Ero stanco, assonnato, nauseato. Pensavo a te; pensavo: se lo sapesse Regina! A un tratto scoppiò una lite fra un giocatore ed il mio collega baro. Si presero a schiaffi, intervenne il padrone della bisca; accadde un pandemonio. Io mi alzai e me ne andai con le mie brave duemila lire.

Regina ascoltava, seduta accanto alla finestra, contro la quale stava appoggiato Antonio. Era quasi notte; dalla bella via silenziosa, ove i fanali brillavano nell’ultimo barlume roseo del lungo crepuscolo, dai giardini dei villini di fronte, da vicino, da lontano, arrivava quel profumo tiepido e grato delle sere primaverili romane. Nello sfondo della via, al di sopra delle case già nere, sul cielo d’un rosa violaceo, la luna nuova calava, verdolina, simile a uno spicchio di arancia acerba. Regina ricordava la sera in cui ella, affacciata alla finestra dell’altro appartamento, s’era lamentata di non