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vandosi di ingoiarle alla prima piena: a vederle sembravano isole incantate e a metterci il piede ci si sprofondava nel fango.

Pochi distanti dalla riva, ove s’era fermata Regina, galleggiavano tre molini di legno annerito dall’acqua e dal tempo: uno di questi molini, aveva spesso richiamato l’attenzione di lei per le rozze decorazioni delle pareti esteriori: pitture preistoriche, rossastre e turchinicce, raffiguranti una Madonna, un San Giacomo, un cespuglio, una barca. L’acqua verde-argentea lo circondava, frangendosi contro la ruota lucente. Barche cariche di sacchi bianchi andavano e venivano: sulla piattaforma del molino appariva la figura bianca del mugnaio e qualche volta quella d’una giovine donna.

Regina aveva veduto spesso quelle due figure: il mugnaio vecchiotto, ma ancora molto dritto, col viso sbarbato, scarno e grigiastro, gli occhi verdognoli socchiusi con malizia; la giovine donna pur essa con gli occhi chiari socchiusi, alta e agile, molto graziosa nonostante il viso troppo rosso e i capelli troppo rossi, aruffati.

— Deve essere la figlia del mugnaio, — aveva pensato Regina. — Deve fare l’amore col giovane del molino; e la vita lassù deve essere semplice e felice.

Ma poi aveva saputo che la giovine era moglie del mugnaio, un beone geloso, il quale teneva la sposa sempre con sè sul molino; ed aveva immaginato un fosco dramma svolgentesi nell’interno di quell’abitazione che ricordava le palafitte preistoriche, tra il fragore della ruota che girava, girava, raccontando la eterna storia del dolore umano: il vecchio ge-