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Non potè riaddormentarsi. Era notte ancora, ma già si udivano, nel silenzio antelucano, i primi rumori, i primi segni della quieta vita campestre: un tintinnar di sonagli tremolava sull’argine, allontanandosi sempre più, e la nota argentina, insistente, infantile, pareva a Regina d’una infinita, infinita melanconia.
Mille ricordi le attraversavano la mente, insistenti, puerili e melanconici come quella piccola nota argentina.
— Tutta la mia vita è stata inutile, — pensava; — ed ora, ora che avrebbe potuto avere uno scopo, ora l’ho buttata via come uno straccio. Ma che scopo poteva avere? — si chiese poi. — Ebbene, e quello di creare una famiglia non è uno scopo? Tutto è relativo: la buona moglie, creando una buona famiglia, contribuisce alla perfezione della società quanto può contribuirvi un lavoratore o un moralista. Io ho fatto dei sogni vani, null’altro, Ricordo il sogno fatto la seconda notte del nostro arrivo... Madame Makuline mi aveva lasciato un castello...
Ad un tratto sentì un piccolo fruscìo e un gemito appena percettibile, ma tenero, emesso quasi in sogno da un essere minuscolo.
— È la rondine? Sogna anch’essa? Sognano e pensano gli uccelli? Credo di sì. Perchè anch’essa, è sola? E lui?
Improvvisamente provò un impeto di gioia pensando che quel giorno le sarebbe arrivata la lettera di Antonio.
Le ore passarono. Passò anche l’ora nella quale soleva arrivare la posta, e la posta non arrivò. Regina se ne andò pei campi: voleva