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minciò a leggere alcuni appunti di Gabrie, interrompendosi ogni tanto per avvertire che lo faceva all’insaputa della fanciulla dal cui tavolo aveva preso di nascosto il prezioso libretto.
— Senta questo, senta che spirito di osservazione. È il tipo d’un futuro racconto. La mia Gabrie raccoglie, raccoglie: vede un tipo, l’osserva, lo raccoglie. È come quelle buone massaie che mettono da parte tutto perchè tutto è buono... Senta questo: «Signorina diciottenne, nobile, anemica, di famiglia decaduta. Ipocrita, vana, invidiosa, ambiziosa, sa nascondere i suoi difetti sotto una dolcezza fredda, apparente, che sembra naturale. Parla sempre dell’alta aristocrazia. Qualcuno le ha detto che sembra una vergine del Botticelli e da quel giorno ella assume delle arie estatiche e sentimentali». Non è vero che è bello, signora Caterina?
— Oh, davvero bello! — disse la signora con dolce compiacenza. — Regina, senti, senti; senti come Gabrie scriverà i suoi romanzi. Bello davvero.
Regina pensava al romanzo che anch’ella voleva scrivere, e del quale quel giorno s’era perfettamente scordata. La sua irritazione crebbe, riconoscendo nel tipo tracciato da Gabrie la signorina di Sabbioneta: le parve di provar rabbia per le pretensioni, per i sogni, per l’ambizione della piccola figlia del maestro, e compassione per le illusioni del semplice «genitore», e si volse per dire a costui che la smettesse, che insegnasse a sua figlia a crearsi una vita reale, e non la mandasse per il mondo