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cato da strade d’oro, punteggiato qua e là dal segno perlato dei vortici: le isole con la loro vegetazione evanescente, coi loro merletti di foglie tremule, pareva fluttuassero fra lo splendore dell’acqua e del cielo.
La primavera lussureggiava ancora nell’immensità della pianura; una primavera potente come una bella gigantessa accarezzata dall’alito del fiume suo amante e adornata dalle mille e mille mani dei lavoratori suoi servi.
Ma quando fu stanca, Regina si buttò a sedere sul trifoglio ancora umido di rugiada, e il suo pensiero volò lontano.
*
Nel pomeriggio, poi, ricominciò a rattristarsi ed inquietarsi.
Cominciarono le visite, curiose, noiose, interessate, di parenti, amici, persone che desideravano qualche favore. Tutti credevano che Regina fosse influente e potesse ottenere tutto, solo perchè viveva a Roma!
Ella dapprima sorrise, poi si seccò: e tutte le persone che ella conosceva e che venivano a salutarla o ad ossequiarla, le parevano cambiate, vecchie, semplici, quasi ridicole.
Venne anche il maestro con Gabriella, una piccola bionda dal visino pallido e paffuto, con due occhi metallici, d’un azzurro grigiastro, luminosi e scrutatori.
— E insomma, — disse il maestro, abbottonandosi la giacca sul petto sottile, incavato.
— Ecco qui la nostra Regina. Oh, bravissima: ho ricevuto la cartolina illustrata col Colosseo.