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sua madre, e nelle maniere dei suoi cari fratelli. No, non era più quello il paesaggio, e non eran più quelle le persone care.

Scese la fuga fra il canto delle rane che raddoppiavano le loro strida quasi salutando il suo passaggio, e ricordò il giorno, la mattina umida e nebbiosa, in cui era partita con Antonio. Allora tutto era nebbia intorno, ma una gran luce le rischiarava l’anima: ora tutto brillava, il cielo, il fiume, le lucciole, le foglie, l’erba, l’acqua dei fossi; ma la nebbia era dentro di lei.

Anche l’interno del villino le parve cambiato. Troppo nude e disadorne le stanze. Oh, Dio mio, come era piccolo e invecchiato il quadro del Baratta sopra il camino del salotto da pranzo!

Non era più quello.

Visitò la cucina: il gattino nero guardava, davanti al focolare, una fetta di polenta studia (arrostita sulla brage), la domestica preparava le tagliatelle; niente era mutato, eppure tutto parve nuovo a Regina.

Dopo il pasto, abbastanza allegro e chiassoso, ella uscì, e nonostante la stanchezza che le fiaccava le membra, percorse un gran tratto dell’argine. Il fratello Adamo e la sorella l’accompagnavano, ma ella si sentiva sola e triste. Egli era lontano, e occorreva la sua presenza per riempire la solitudine meravigliosa di quella notte sempre più luminosa e pura. Che faceva egli a quell’ora? Anche le notti di Roma, agli ultimi di giugno, sono assai dolci e penetranti. Regina ripensava alle ultime passeggiate serotine fatte con Antonio su