Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 5 — |
— Ti batte il cuore?
Regina sorrise, un po’ sdegnosa, non volendo far notare tutto il suo piacere e il suo turbamento.
Antonio guardò l’orologio.
— Quindici minuti ancora. Se il vento non soffia con tanta violenza ti farei guardar fuori.
— Io guardo; abbassa il vetro.
— Il vento è troppo forte, ti dico.
— No, io voglio guardar lo stesso... — insistè lei, come una bimba viziata.
Antonio provò ad abbassare il vetro; ma realmente la violenza del vento era tale che Regina rinunziò a metter la testa fuori.
— Chiudi; chiudi!
Egli chiuse.
— Pensa, ma pensa che sei a Roma! — egli ripetè.
Poi le consigliò di mettersi il cappello e di prepararsi.
— Essi usciranno ora di casa per venire alla stazione, — disse, pensieroso. — Ravviati i capelli: e la cipria dove l’hai?
— Sono molto brutta? — chiese Regina, passandosi le mani sul volto.
Sedette, aprì la borsetta, si ravvio i capelli, si pulì il viso e s’incipriò: poi rimise il matelot grigio che Antonio le porgeva, e allacciò la mantella, dal cui colletto di martora la sua piccola faccia emergeva come da un calice, pallida, stanca, tutta bocca e tutt’occhi, rassomigliante al grazioso faccino d’un gatto.
— Così stai bene, — disse Antonio, guardandola con adorazione.
Ella si alzò di nuovo e si aggrappò ancora