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mia, corpu dla madosca. (Lui vorrebbe, sì, ma le donne non lo vogliono, corpo d...) — disse Pedrin, voltandosi un po’ di fianco, e mischiandosi nei discorsi dei «ragassi».

— Vogliono venire a... a Roma, Gabri e Gabriel — disse alfine Toscana. Il fratello ricominciò a ridere.

— Perchè vogliono venire a Roma?

— Gabri per cercare un impiego e aiutare negli studi Gabrie che vuol diventare professoressa...

— Ah, ah! ah!

Risero tutti e quattro, ora, e Regina dimenticò per un momento la sua angoscia, tanto la divertiva il pensiero dei due ragazzi che progettavano d’andare a Roma, così, senza soldi nè aiuti, come se si trattasse d’andare a Viadana.

— E il maestro cosa dice?

— Lui è matto, — intervenne ancora Pedrin, volgendo la sua faccia grande, rossa e tranquilla come la luna. — El diss: chi vaga magari a pe: i dventarà na gran roba. (Lui dice: vadano pure, anche a piedi: diventeranno gran cosa).

Gigi s’animò e cominciò ad imitare Gabri che aveva la voce nasale:

— Potremmo andare a Milano; ma là non c’è l’Università femminile, come c’è a Roma e a Firenze: andremo a Roma perchè è capitale d’Italia. Io farò il tipografo, e Gabrie studierà.

E Toscana imitò la voce di Gabrie:

— E mio fratello, poi, stamperà i miei libri!

— Ragazzi, mi pare che siate un po’ invidiosetti! — disse Regina.