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zio è questo: di lasciarti per alcun tempo, per cercar di guarire e poi tornare a te sana e buona.

«Nella mia casetta io vivrò di te, e lavorerò; sì, voglio anch’io portare la mia pietra all’edifizio del nostro benessere avvenire. Siamo giovani, troppo giovani ancora: potremo far molto, se lo vorremo.

«Tu di me sei sicuro; anche io sono sicura di te, perchè so quanto mi ami, e so che mi ami molto appunto perchè io sono come sono: e non dubito di te, come non dubito di me.

«Senti, fra due o tre settimane, come avevamo stabilito, tu verrai al mio paese; fingerai di trovarmi tanto sofferente che deciderai di lasciarmi lassù finchè starò bene. Poi tornerai a Roma e vivrai pensando a me, studierai, farai il concorso. Intanto i mesi passeranno: ci scriveremo tutti i giorni, faremo economia, o meglio tesoro di amore e di... denari. La nostra posizione migliorerà, e quando ci riuniremo, cominceremo una luna di miele ben diversa dalla prima, e che durerà per tutta la vita».

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Arrivata a questo punto della sua lettera, Regina si sentì gelare tutta, quasi un soffio di vento freddo la colpisse alle spalle.

Non era tutto menzogna, tutto illusione quello che scriveva? Parole, parole.

— Chissà come è fatto l’avvenire? — pensò.

Ma la stessa espressione fatto, la colpì vivamente.

— Chi fa il nostro avvenire? — Nessuno. Lo facciamo noi stessi col nostro presente. Il mio avvenire io lo faccio con questa lettera; solamente neppure io stessa so quello che faccio.