quanti mesi, io la medito, la esamino, mi torturo con essa! E se tu sapessi quante e quante volte ho tentato di esprimerti a parole ciò che ora vorrei scriverti! Ma non mi è riuscito mai possibile: una forza tiranna mi ha impedito sempre di aprirti il mio cuore; mi pareva che, a parole, non ci saremmo compresi. Chissà se neppure ora tu vorrai e potrai comprendermi. Mi sembrava facile esprimermi per lettera, ma ora... ora sento quanto ciò sia penoso e difficile. Avrei voluto anche attendere di essere lassù, a casa mia, per scriverti questa lettera; ma non voglio che tu possa credere che ragioni esteriori o consigli altrui mi abbiano spinto a questo passo. No, Antonio mio, buono e caro; siamo noi due soli: soli, lontani da ogni voce estranea e molesta, noi due, soli, che decidiamo il nostro destino. Ascoltami. Ora tenterò di spiegarti, come meglio potrò, il mio pensiero. Senti, Antonio, anche l’altro giorno ti dicevo: «Se io mi ammalassi e i medici mi ordinassero di tornare a respirare l’aria natìa, e di soggiornare per qualche tempo nel mio paese, me lo proibiresti tu?» E tu hai risposto: «Sarei anzi il primo a consigliartelo». Ora io sono davvero malata, d’una malattia morale che mi consuma peggio di una malattia fisica, ed ho bisogno di ritornare al mio paese, e di rimanervi per qualche tempo. Antonio, mio adorato, mio amico e mio fratello, sforzati a comprendermi e leggi intensamente queste mie righe come se leggessi entro l’anima mia. Io ti amo, io ti ho sposato per amore, per quell’amore indescrivibile fatto di sogni e di incanti che si prova una volta sola nella vita; e mai come in