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Egli la guardava fingendosi così sbalordito da non trovar parole: ella si stizziva ancora.
— Tu non capisci niente! Tu ti burli di me. Eppure... se io potessi....
Antonio, suo malgrado, diventava serio.
— E perchè non potresti?
— Bisognerebbe anzitutto che io... No, non te lo dico; non puoi capirmi! Eppoi? Io non so scrivere, non so esprimermi. Il mio pensiero è grande, ma la parola mi manca! Quanti e quanti sono così! Cosa credi tu che siano gli uomini grandi? I così detti pensatori? Fortunati che hanno saputo esprimersi. Nietzsche, per esempio? Credi tu che io, che centomila altri, non possiamo avere le idee di Nietzsche, senza averlo mai letto? Soltanto egli ha saputo esprimersi, mentre noi altri non possiamo. E dico Nietzsche come posso dire l’autore dell’Imitazione.
— Tu dovevi sposare uno scrittore, — diceva Antonio, con una segreta gelosia per l’uomo che Regina forse aveva sognato e non aveva incontrato. Ma ella si stizziva ancora.
— È inutile! Tu non puoi capirmi. Io non so che farmene degli scrittori. Lasciami, ora! Ti ho detto di non toccarmi i capelli!
— Aspetta! Resta vicino a me: discorriamo ancora dei tuoi grandi pensieri. Tu mi credi uno stupido. Eppure, senti, io vorrei dirti una cosa... Non ridere, però. Fa un figlio, giacchè vuoi fare una cosa meravigliosa. Tu sai che un autore americano, Emerson mi pare, diceva a sua moglie che il più grande miracolo che la donna può fare...
— È di fare un figlio! Lo so! — ella rispon-