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— No.
— È vodka... Le signore russe si ubbriacano con questo liquore. Vedete come bevo io, — ella continuò, sollevando il piccolo calice e guardandovi dentro. — Oh, mi piace tanto bere: e quando ho bevuto mi accade il contrario di tutti gli altri: non dico più la verità.
— Non mi pare, — osservò Massimo. — È questo il vodka? È cattivo.
— Oh, oggi non ho bevuto! — disse Marianna.
Rise e bevette: poi avvicinò il calice, alle labbra di Regina e la costrinse a bere il liquore.
— Ora andiamo a disturbare l’idillio del cane e del gatto, — disse, avviandosi al salotto attiguo, dove Arduina e lo scrittore chiacchieravano eternamente, soli, seduti in un angolo, sotto una pianta dalle bacche rosse. Regina e Marianna sedettero in faccia a loro, su un divano di pelliccia, e Massimo rimase in piedi.
Nell’altro salotto una vecchia signora suonava: «Se a te, o cara...».
Regina provò una dolcezza inesprimibile: la musica dolce e appassionata, il calore del divano, la cui pelliccia tiepida destava il desiderio di accarezzarla come quella di un gatto morbido, il profumo indefinibile che gravava nell’aria e sopratutto il vodka che le pulsava alla gola e alle ginocchia, le davano un principio d’ebbrezza voluttuosa.
Anche Arduina era eccitata: parlava ad alta voce, con lo stesso tono che Regina aveva notato nella cugina Claretta quando questa parlava in presenza di uomini, e pareva non riconoscesse più i cognati.