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una terribile notte 95


marea spinte dalla tempesta. Solo all’occidente, dove era scomparso il sole, dietro le alte e dirupate montagne, rimaneva una striscia di cielo limpido, d’un verde scintillante, la cui luce illuminava ancora il sentiero che Ardo percorreva.

Il piccino riprese la via, lesto lesto, ma senza più cantare: dopo cinque minuti si fermò ancora: la striscia di cielo limpido era scomparsa e con essa la luce.

Il buio s’avanzava, la pioggia diventava fitta, grossa, il vento cominciò a soffiare impetuosamente, minacciando di spingere Ardo in qualche burrone, in qualche macchia spinosa: il tuono brontolò fra le gole delle montagne sulle cui cime i lampi s’incrociavano danzando una fantastica ridda di fuoco.

Sulle prime Ardo ebbe freddo, ebbe paura: temeva i tuoni, i lampi; gli pareva che i massi, le macchie fossero, così avvolti di nebbia e d’oscurità, tanti grandi bobbois — fantasmi — pronti a mangiarselo, per castigo della sua disobbedienza: ma poi si fece coraggio e aguzzò lo sguardo se mai vedesse un lume, un pastore, o almeno una grotta per ripararsi.

Nulla... assolutamente nulla: neanche un albero!

Ritornare al villaggio? Ma se era distante quan-