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32 | nell'azzurro |
sulle creste rocciose dei monti mi svagai alle alpestri giogaie su cui eterno verdeggia il lentischio; a quelle selvose costiere, cui la scure sacrilega non avea ancora profanato: e coll’acceso pensiero volgeasi il mio occhio al lontano mare che nelle sue onde placide rifletteva la serenità dei cieli, tinti di rose nelle aurore primaverili, e di porpore smaglianti nei tramonti incantevoli».
Così pensava il pittore, ritto sul musco della montagna, guardando l’esteso panorama che gli si presentava davanti. Poi svolse il binoccolo e mormorò: — Bellezza e solitudine! Ma non c’è dunque nessuno in questa Sardegna? —. Questo signore poteva avere trentacinque o trentasei anni, ma non li dimostrava. Pareva giovanissimo ed era anche bello, biondo, con gli occhi bruni, velati da eleganti occhialetti montati in oro, le mani bianchissime, il portamento aristocratico, dal quale s’indovinava subito in lui l’artista ricco ed anche nobile che esercitava l’arte solo per divago, per vocazione, ma di tanto in tanto una strana ruga si disegnava sulla sua fronte, spiccata, nervosa, e allora su quel viso si leggevano non solo gli anni, ma anche un passato triste, doloroso.
Nel villaggio era andato subito da don Martino, raccomandato dal suo giovine amico Azzo, e aveva detto di chiamarsi semplicemente signor Giacomo