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vita silvana 15


cogliere i nidi, sulle roccie, attraverso le liane e le macchie di lentischio, l’esplorare i nuraghes per ritrovare i favolosi tesori che i giganti vi lasciarono, o per cogliervi i fiori delle eriche e delle rose selvaggie, e suonare le leoneddas. Zio Bastiano non sapeva suonare questo armonioso e semitico strumento, ma Cicytella aveva preso lezioni da un pastore del Campidano e non solo suonava stupendamente arie che lo stesso Meyerbeer avrebbe ammirato, ma sapeva persino fabbricare quel flauto di canne.

Nei meriggi ardenti, quando zio Bastiano e Cicytella avevano finito di mugnere le pecore, di fare il formaggio e la ricotta e il latte coagulato — l’avreste vista la piccina con le maniche rimboccate, il fazzoletto legato sulla nuca, tutta affaccendata, come se fosse stata lei a fare tutte quelle operazioni — zio Bastiano si coricava sull’erba molle, all’ombra degli alberi o delle grandi rupi ricoperte di muschio, e Cicytella gli suonava un’aria triste, armoniosa, sonnolenta, guardandolo furbamente come per dirgli: «Ti farò dormire anche se non ne hai voglia!» mentre lei stessa, come cullata dal mormorio del torrente, dal venticello che scuoteva intorno a lei gli alti pascoli di smeraldo, finiva col chiudere gli occhi al sonno.

Così d’estate, di primavera e d’autunno: ma