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la casa paterna 151


come dicevi tu, non hanno bisogno di lavorare per vivere. Basta loro aver il titolo di medici!... Eppoi, nessuno ha fiducia in loro. È il dottor Giorgio che vogliono, che chiamano, che amano... Posso io abbandonarli? No, in nome della carità, dell’amore per il prossimo, specialmente i poveri. Sarei egoista, ecco. Iole, sai che l’egoismo è il più grande peccato?

E seguitò per la sua via, seguitò, buono ed instancabile, sino al giorno che cadde malato, forse in causa delle sue fatiche, martire volontario e sconosciuto del dovere.

Io, piccina com’ero, non compresi del tutto le parole del babbo e ne feci parola a mia madre.

— Giorgio ha ragione, — diss’ella, — la sua missione è codesta. Procuriamo di rendergliela meno penosa col nostro amore e le nostre cure.

Allora ebbi un pensiero. A mio padre piacevano i fiori. Corsi in giardino, feci un mazzo e lo portai nello studio, lo posi sull’immensa tavola coperta di libri per me terribili e misteriosi perchè Franceschino m’aveva detto che contenevano la vita e la morte degli uomini, che d’altronde non avevo mai sfogliato, di cui non capivo neanche i titoli perchè scritti tutti in tedesco; coperta di astucci più tremendi ancora, i cui strumenti, sempre al dire di Franceschino, erano destinati a cucinare solo carne uma-