Pagina:Deledda - Nell'azzurro, Milano, Trevisini, 1929.djvu/152

148 nell'azzurro


sognando un mondo in cui tutti i bimbi giocano sempre, e mormoravo di tanto in tanto:

— Come sono infelice.

Perché non stavo a scorrazzare nella via!

Apro quella finestra: la prima cosa che mi colpisce è l’assenza d’un vecchio muro che stava davanti a noi: era il mio orologio. In estate il sole alle otto antimeridiane batteva appena sulla sua cima; alle dieci lo illuminava a metà; a mezzogiorno tutto! Da quel muro conoscevo anche le stagioni. In inverno tutto fangoso, umido e nero; in primavera grandi fiori, gramigne, erbe dalle lunghe foglie d’un verde gaio e brillante lo coprivano quasi tutto, e fra esse un mondo d’insetti; in estate tornava a lui lo squallore, ma uno squallore arido, bianco: il muro si screpolava, le erbe si disseccavano e gli insetti sparivano. In autunno, dopo le prime pioggie, si copriva di musco dai fiorellini rossi e bianchi: rinasceva qualche altro fiore, qualche filo d’erba, ma così pallidi e piccoli che parevano dire:

— L’anno muore!

Sparito anch’esso! C’è una casa nuova, alta, bianca, abbagliante, che m’impedisce di vedere oltre.

Guardo nella via: l’ora è tarda, il venticello dell’imbrunire comincia a rinfrescare l’aria calda