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la casa paterna 137


solo qualche fiorellino, dalle foglie sbiadite, sorride tristemente fra tanta desolazione. Che stretta al cuore!

Poiché qui era tutta la mia gioia, tutta la mia campagna: qualche cosa di delizioso: in quei due metri di terreno, proprio miei, c’era un lembo di Eden, un giardino in miniatura, coi suoi rosai dalle rose di ogni colore, colle sue siepi di gelsomini, coi suoi giacinti e i gigli e i giaggioli e le viole e i garofani e persino la ginestra.

Lo coltivavo con cura, con passione, tanto che mio padre mi chiamava la giardiniera: provavo una gioia indescrivibile quando nei giorni onomastici potevo offrire un mazzolino di fiori fatti nascere e crescere da me: quando conducevo con orgoglio le mie compagne, per far loro vedere la mia aiuola come altri mostra i suoi lavori, offrendo loro una rosa, un giacinto, miei! Il giacinto! Era il mio fiore prediletto: nelle tiepide giornate di febbraio rimanevo lunghe ore contemplando quei fiori così gentili e perfetti che paiono scolpiti in marmo azzurro, in marmo rosa: li amavo tanto che una volta mi fecero diventare poetessa.

Oh, le deliziose ore passate nel nostro giardino, giocando con le mie amiche, passeggiando con la mamma, o col babbo da cui esigevo mille spiegazioni; seduta con Franceschino sulle panchine di