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cido per questo. Attraverso l’andito che mi vi conduce, stringendo nervosamente in mano la chiave della porticina, la stessa che la mamma mi accordava solo al prezzo d’un bacio, che io non potevo ottenere però nei giorni di castigo: quell’andito debolmente illuminato da un’alta finestrina, che diventava buio buio appena scomparso il sole, che temevo di attraversare sola, allora, perché più d’una volta mi era sembrato di vedere lunghi fantasmi dai mantelli, dai panneggiamenti di neve; e dove Giannina minacciava di rinchiudermi se facevo da cattiva. Una volta a Franceschino un malvagio compagno fece leggere ad insaputa del babbo e della mamma nostra, un libro proibito in cui si narravano storie false e spaventose dell’Inquisizione, e Franceschino me le ripeteva a bassa voce, conchiudendo: — Quei sotterranei dovevano essere come... il nostro andito!...

Adesso, dopo molti stenti, ecco aperta la porta dell’orticello. Anche qui c’è poco di mutato.

Il pergolato, lussureggiante di pampini, ombreggia i viali: una vite si arrampica sul muro, dando alla casa un aspetto sommamente pittoresco. Anche i pochi alberi sono verdeggianti, molto cresciuti; ma al di sotto tutto è secco ed inaridito. Qui è la mia aiuola favorita: il muro è caduto, le pianticelle dei fiori, d’altronde tutte diverse da quelle che coltivavo io, sono secche, rachitiche, circondate di male erbe: