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la casa paterna | 131 |
piendo il suo dovere di «bello e orribile mostro» che
I monti supera, |
mentre io avrei voluto che andasse lentamente, per lasciarmi rivedere bene, palmo per palmo, le mie ubertose campagne, la pianura arsa dal sole, la valle da cui salivano i primi profumi delle notti di estate, le montagne ergentesi al cielo, verdi e scoscese, i boschi scossi dalla brezza...
Ecco, ad un tratto il mio cuore batte forte, forte: vedo le prime case di R... — le ultime che vidi quando partii, alle quali diressi il mio addio — vedo i campanili, i miei poveri campanili bruni, immobili sul fondo del glauco firmamento: i miei occhi si velano, la mia mente è sconvolta, i miei sguardi non vedono più nulla di distinto, di riconoscibile.
È l'effetto del crepuscolo che cresce, o di ciò che volgarmente chiamasi pianto? Non lo so di sicuro...
Il treno fischia; i passeggieri si dispongono a scendere: fischia ancora: ecco la stazione circondata di fiori e di gente: fischia la terza volta: sono fra le braccia di mia zia, delle mie cugine, di cento conoscenze che... non riconosco più, trasformate dagli anni. Tutti mi abbracciano e mi baciano come se io venga dall’altro mondo.