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se di saccoccia una chiavetta dorata e aprì a stento il cassettino del tavolo, guardandovi dentro a lungo. Era pieno di carte, di lettore, di plichi: egli prese uno di questi, giallo, coperto di grandi sigilli rossi, lo volse, lo pesò con la mano, lo rimise: sollevò poi l’angolo di un’altra busta e ne trasse un involtino di carta velina. Eccola, la rosa morta era lì, coi petali ridotti in cenere rossiccia, il gambo e il calice simili a frammenti di legno corroso: le spine soltanto erano ancora intatte!
Dopo la rosa fu la volta di un foglio azzurrognolo, ingiallito dal tempo, che conservava le traccie delle ostie color di rosa con cui era stato chiuso in forma di busta. Il vecchio lo svolse, piano piano, con la mano non inferma, e rilesse le poche righe scritte con minutissimi caratteri gotici:
«Caro Luigi,
«È inutile e doloroso insistere. La fatalità ci ha rivelato troppo tardi i nostri sentimenti....
«Io mi considero già come legata, all’uomo che ha la mia promessa di fedeltà, e morrei prima di tradirlo. Addio, addio; perdonami; tutto dev’essere finito in questa vita! Forse c’incontreremo in una vita migliore; questa è l’unica speranza che m’incoraggia a vivere.
«Addio per sempre.
«Simona.»