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mava ancora di tenerezza e di umiliazione. Egli era stato amato e rifiutato: la donna aveva tradito un altro per lui e lui per quell’altro: e nello stesso modo s’era comportata verso di lui un’altra amante che egli aveva adorato con tutte le sue forze, senza mai riuscire ad ottenerne i favori: la vita.

Ed ora anche Lia lo abbandonava, anche lei senza aver mai capito di quale amore egli fosse capace, e per un uomo che ella non amava. Sì, come quell’altra; e per una raffinata ironia del caso ecco le rose fatali riapparivano, grandi, moltiplicate, tutte unite lì davanti a lui con le loro pieghe, le loro ombre, le loro labbra fredde e crudeli.

I suoi occhi si riempirono di lagrime, e una di queste scivolò lungo la sua guancia e cadde sull’anello della sua mano morta. Bastò questo per richiamarlo dal suo sogno: asciugò l’anello sul tappeto del tavolo e ricominciò a battere il bastone sul pavimento, di qua e di là, fin dove poteva arrivare, come se schiacciasse qualche insetto che gli sfuggiva. Il suo viso esprimeva ironia e ribrezzo: ma dopo alcuni momenti anche questa crisi nervosa passò, e quando Costantina rientrò egli era calmo, di nuovo con la testa bassa e le mani appoggiate al bastone.

— Come tardano! — disse la serva. — Devo lasciarlo qui, questo cestino? Le dà noia?

Egli accennò di lasciarlo: andata via lei tras-