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— Le lascio qui?

Il vecchio non rispose, come còlto da uno stupore profondo: per paura che Salvador entrasse, Costantina si affrettò a deporre il cestino sul tavolo accanto al padrone e corse via trascinandosi addietro il bambino.

— Da noi, in Sardegna, — cominciò a raccontargli per distrarlo, — sì, da noi si mandano mazzolini di fiori, agli sposi, ma sai come? Per tappo a belle bottiglie di vino forte. Se si mandassero fiori soli, così, per quanto belli, la gente riderebbe: e che in uno sposalizio si mangiano fiori?

Lo zio Asquer intanto fissava le rose, e come destati dal loro profumo quasi irritante, ricordi e fantasmi sorgevano intorno a lui. Una figura di donna, alta e bruna come Lia e vestita come lei nei primi giorni dopo il suo arrivo, entrava lieve nella camera bianca e triste, si curvava a scegliere una rosa e gliela porgeva.

Vera immagine di un cuore di donna, dalle cento foglie piegate e ripiegate, dai cento angoli misteriosi, rossa di tutti gli ardori, bruna di tutte le ombre, coperta di rugiada e di polvere, pronta a macchiarsi, a sfogliarsi, a mutar il profumo in cattivo odore, e inaridirsi e imputridire, la rosa vellutata, aveva sempre destato nello zio Asquer un fascino doloroso. La figura dell’unica donna da lui amata sorgeva dalla rosa, come la fata della leggenda, e il ricordo lo col-