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a morir presto, per non irritarlo non lo molestavano più.

Fu un inverno lungo e triste per Lia. Ella non usciva mai perchè lo zio s’irritava quando ella era assente; e lo stato di lui le dava un senso di oppressione; tutto le appariva triste, pauroso, come se la morte si nascondesse negli angoli della casa; lo stesso suo amore per Justo e la speranza di cambiar presto vita, non la rallegravano più. Protetti da Costantina, i due fidanzati si vedevano di notte, quando il malato era già a letto: Justo entrava e usciva come un ladro, senza far rumore, e siccome lo zio Asquer spesso si svegliava agitato, quasi conscio della presenza di un estraneo in casa sua, e chiamava Costantina domandandole chi c’era, i due fidanzati parlavano sottovoce, seduti in un angolo nella penombra della sala da pranzo. I loro discorsi non erano sempre allegri; essi non osavano parlare dell’avvenire e quindi risalivano sempre al passato; ma a Lia pareva che solo i ricordi evocati da Justo fossero interessanti. Quando però egli raccontava qualche sua avventura amorosa, ella provava di nuovo un senso di solitudine, di abbandono: di nuovo, come quel giorno davanti alla fontana, l’uomo sedutole accanto le sembrava uno sconosciuto, un compagno di passaggio; ed ella si credeva una delle figure di cui egli rievocava l’immagine già lontana e sbiadita.